Le corti sconte e il tempo ritrovato: tornare a casa a Venezia

Ci sono momenti in cui, tornando a Venezia, mi chiedo se io abbia mai veramente lasciato questa città. Come un elastico teso tra Milano e la Laguna, sento sempre quel richiamo, quella tensione che mi riporta alle mie radici. E ogni volta, il ritorno ha il sapore di un respiro profondo dopo aver trattenuto l'aria troppo a lungo.
Il risveglio veneziano
Ieri mattina ho aperto la finestra di casa. Il canale sotto di me si è presentato come un vecchio amico che non vedi da tempo ma con cui riprendi a parlare come se vi foste salutati il giorno prima. L'acqua increspata, il lento dondolio di una gondola ormeggiata, quel particolare odore di mare e pietra antica che solo Venezia sa offrire. E ho capito, ancora una volta, perché qui mi sento a casa.
La luce del mattino a Venezia è diversa. Non è la luce abbagliante delle città di terraferma, ma una luce filtrata, riflessa, amplificata dall'acqua. Una luce che sembra disegnare ogni contorno, ogni pietra, ogni finestra gotica con una precisione quasi maniacale, come un pittore meticoloso che non vuole lasciare nulla al caso.
La bellezza nascosta
La bellezza di Venezia non è solo nei grandi monumenti che tutti conoscono. Non è solo in Piazza San Marco o nel Ponte di Rialto. La vera bellezza di Venezia si nasconde nelle "corti sconte", quelle piccole piazze nascoste che si aprono improvvisamente dopo un sottoportego buio. Come scrigni segreti che la città concede solo a chi ha la pazienza di perdersi nei suoi meandri.
Ho preso un caffè in un campo talmente piccolo che non aveva nemmeno un nome sulle mappe turistiche. Un anziano locale, vedendomi osservare i dettagli di un portone finemente lavorato, mi ha raccontato la storia della famiglia che vi abitava nel '700. E mentre parlava, ho realizzato che ogni pietra qui ha una storia, ogni angolo custodisce un segreto, ogni facciata racconta una vita.
La città che ti costringe alla lentezza
C'è una cosa che Venezia non ti permette: avere fretta. Prova a correre a Venezia e ti ritroverai presto con il fiato corto, bloccato dietro un gruppo di turisti, costretto a deviare per un ponte in restauro, o semplicemente ipnotizzato da qualcosa che cattura il tuo sguardo e ti obbliga a fermarti.
Venezia è l'anti-metropoli per eccellenza. Mentre Milano mi ha insegnato a guardare l'orologio, a incastrare appuntamenti, a calcolare i tempi di percorrenza al minuto, Venezia mi insegna a dimenticare il tempo. E non è un caso che qui non ci siano automobili, semafori, clacson impazienti. La città stessa è progettata per costringerti a rallentare.
Mi sono chiesto spesso se non sia proprio questo il segreto della sua bellezza. Venezia ti costringe a guardarla, a osservarla, a godertela. Ti obbliga a camminare a un ritmo che permette ai tuoi occhi di catturare dettagli che altrimenti sfuggirebbero.
La ribellione del tempo
In un mondo che corre sempre più veloce, Venezia rappresenta una sorta di ribellione. È come se la città stessa, con i suoi canali che impongono tragitti tortuosi, con i suoi ponti che rallentano il passo, con le sue calli strette che non consentono di correre, avesse deciso di ribellarsi alla tirannia della velocità.
E forse è proprio per questo che, ogni volta che torno, sento quel senso di liberazione. Qui non devo correre. Qui non devo guardare continuamente l'orologio. Qui posso permettermi il lusso più grande dei nostri tempi: la lentezza.
Il tempo ritrovato
C'è una frase di Marcel Proust che mi torna sempre in mente quando sono a Venezia: "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi". E Venezia ti dona proprio questo: nuovi occhi. Occhi che non si limitano a vedere, ma che osservano, che assaporano, che si perdono nei dettagli.
L'altra sera, sono passato per Piazza San Marco mentre tornavo a casa dopo cena. I turisti se n'erano andati, restavano solo pochi veneziani e qualche visitatore più curioso. L'orchestra del Quadri suonava un valzer, e io ho chiuso gli occhi, lasciando che la musica si mescolasse ai suoni della piazza: il leggero sciabordio dell'acqua alta che iniziava a lambire le pietre, il fruscio dei piccioni, le risate lontane, il tintinnio di bicchieri.
In quel momento, mi sono ricordato che Venezia non è solo una città da vedere, ma una città da ascoltare, da sentire, da vivere con tutti i sensi. E per farlo, serve tempo. Serve quella lentezza che solo qui sembra naturale, necessaria, inevitabile.
L'insegnamento della Serenissima
Forse, in fondo, è questo l'insegnamento più prezioso che Venezia continua a darmi: la bellezza non si coglie di fretta, la bellezza richiede tempo. Richiede la capacità di fermarsi, di osservare, di assaporare.
In un'epoca in cui tutto scorre rapido, in cui le notifiche dei nostri smartphone ci bombardano in continuazione, in cui il tempo sembra sempre insufficiente, Venezia ci ricorda che la vera ricchezza è proprio nel tempo. Nel tempo che ci prendiamo per noi stessi, per osservare, per riflettere, per esistere semplicemente.
E mentre scrivo queste righe, guardando ancora una volta fuori dalla finestra, mi rendo conto che il vero lusso non è possedere cose, ma possedere tempo. E Venezia, nella sua saggezza secolare, questo lo sa bene. E ce lo insegna, ogni giorno, con la sua silenziosa, implacabile bellezza che non ha fretta di mostrarsi, ma che si rivela solo a chi ha la pazienza di cercarla.
Perché, come dicevano gli antichi veneziani, "Chi ga tempo, no aspeta tempo". Chi ha tempo, non aspetta tempo. E a Venezia, il tempo sembra finalmente ritrovare il suo vero valore.
